Luglio 2016 - Geotermia a qualunque costo?

 

 

Dopo il terremoto del 30 giugno sull’Alfina un giornale “on line”, malgrado le dominanti notizie elettorali, ha trovato lo spazio per pubblicare una intervista e un comunicato stampa, ambedue pro geotermia. Speriamo che ora trovi lo spazio per la replica.

 

L’intervista è stata rilasciata dal Prof. Carlo Doglioni, neo Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Da una lettura frettolosa dell’intervista se ne trae un messaggio tranquillizzante, invece leggendola con attenzione non lo è affatto. Ad esempio dichiara che “bisogna puntare ad una pianificazione urbanistica antisismica”. Verissimo, però gli abitanti dell’Alfina, ed in genere tutti gli abitanti dei i centri storici del Lazio, vivono in antiche abitazioni in tufo con i soffitti sostenuti da travicelli di legno che lasciano le pareti scollegate fra loro. Questo è lo stato di fatto e non è pensabile demolire i centri storici per renderli antisimici.

 

Il Professore assicura che è piuttosto difficile che si verifichino eventi di magnitudo superire a 6,5 anche se l’area di Bolsena non è fra le zone più pericolose d’Italia. Vero, ma ricordiamoci che a Tuscania vi furono due scosse di terremoto, la prima di magnitudo 4,1 che fece pochi danni e poi una seconda di magnitudo 3,6 che fece distruzioni e vittime.

 

Sostiene anche che nella geotermia a “circuito chiuso”, quando cioè vengono prelevati e reiniettati fluidi nel sottosuolo alle condizioni di pressioni originarie, non si generano pressioni innaturali pericolose.

 

Quella indicata è una situazione generica ideale, invece nel caso specifico di Castel Giorgio i pozzi di produzione sono profondi 1200 metri mentre quelli di reiniezione sono profondi 2300 metri e ubicati alla distanza di alcuni chilometri fra loro per cui avviene un travaso di 1000 tonnellate all’ora di fluido geotermico da un serbatoio a 1200 metri ad un altro profondo 2300, tutto ciò per la durata della concessione di 25 anni. Nel caso specifico di Castel Giorgio non è possibile dimostrare che vi sia un “circuito chiuso”, ossia che vi sia intercomunicabilità idraulica fra zona di reiniezione e quella di produzione. E’ probabile invece che si verifichino squilibri di pressione fra la zona di reiniezione e quella di produzione creando tensioni pericolose. Nel dubbio è d’obbligo applicare il principio della precauzione. Ci sono altre due possibili cause di sismi indotti: quelli provocati durante le trivellazioni e quelli causati dalla eventuale iniezione ad alta pressione di fluidi chimici allo scopo di aumentare la permeabilità attorno alla zona di reiniezione.

 

Il Prof. Doglioni  è stato nominato Presidente della INGV da poche settimane e non è responsabile del precedente operato dell’Istituto. Era stato prospettato un contratto per il monitoraggio sismico della INGV durante i 25 anni della concessione, contratto attuabile solo nel caso che il progetto geotermico fosse stato approvato. Una scienziata dello stesso Istituto, la dottoressa Maria Luisa Carapezza, si era spesa in conferenze per caldeggiare e sostenere tecnicamente il progetto geotermico, ma poi si è saputo che la professoressa era la moglie del Prof. Franco Barberi, Project Manager della società proponente. Nel tema è intervenuta la Dottoressa Fedora Quattrocchi, anche lei scienziata dell’INGV, che ha stroncato le valutazioni della collega Carapezza.

 

Il comunicato stampa citato all’inizio è stato rilasciato dal responsabile delle relazioni pubbliche della ITW&LKW Diego Righini il quale riporta che il geologo Fabio Moia, in carico di una società operante nella ricerca dei sistemi energetici, assicura che gli impianti geotermici non alterano il sottosuolo. Trattandosi di persona interessata non darei alcun peso alla sua dichiarazione.

 

Nello stesso comunicato il Promoter Righini promette un investimento iniziale di 12 milioni di euro, ma è un capitale che la ITW&LKW non ha, anzi ha molti debiti. Ha un solo dipendente, non ha un proprio ufficio tecnico, non ha mai fatto un lavoro di qualsiasi genere e le azioni sono di proprietà di un socio unico di diritto austriaco.

 

Il Righini promette tanti posti di lavoro, ma a pagina 51 della relazione tecnica del 2003 si legge “la centrale non richiederà, di per sé, il presidio da parte di personale preposto”.

 

La valanga di promesse ha per fine l’ottenimento della autorizzazione, e ciò si capisce dato che le azioni hanno attualmente un prezzo prossimo a zero, se fosse ottenuto il permesso il loro prezzo avrebbe un plusvalore di alcuni milioni di euro, tutti guadagnati in Austria dal socio unico austriaco, senza muovere zolla.

 

In conclusione la geotermia sull’Alfina aumenta il rischio sismico e il pericolo d’inquinamento da arsenico della falda potabile (come spiegato in altre occasioni) per cui non si  può autorizzare un impianto così rischioso per le persone e l’ambiente ad una società come quella proponente.

 

Piero Bruni